La psicoterapia ha a che fare con l’essere presenti. Con questo si intendono diverse cose, a seconda delle persone e del terapeuta. Questa pagina spiega la mia opinione al riguardo. Si tratta di essere presente a pieno, in relazione a un altro essere umano. Tuttavia, questo tipo di connessione è una cosa ben rara da realizzare. Ma non è solo durante la terapia che ci si può connettere in questo modo un altro/a. Parte del lavoro del terapeuta è quello di creare le condizioni necessarie perché ciò avvenga più spesso e più facilmente. Nonostante ciò, questa intensità non viene essere sostenuta per tutta la sessione, perché il paziente, o il terapeuta, o entrambi, non ne sono in grado. Martin Buber (1923) parlava di questo tipo di connessione come Io-Tu. Un autentico modo di ‘vedere’ l’altro, che si contrappone all’Io-Esso.
La dimensione temporale del se
La ragione per la quale si cerca di creare questo contatto è quella di accrescere la presenza reale. Non può esserci un pieno senso di presenza reale senza un livello profondo di connessione. Questo parte dal presupposto che si può esistere solo in contatto con l'alterità, la differenza, l’altro. L'alterità può essere una persona (‘lo straniero’), un luogo, un tempo, o persino lo stesso sé. Il ruolo del terapeuta non è necessariamente di essere la persona che produce l'alterità (cioè alla quale si relaziona il paziente), ma di essere spettatore della relazione. In termini filosofici, ci si riferisce a questa posizione col termine fenomenologia, che significa ‘stare con il fenomeno’. Il fenomeno è ‘ciò che accade’. Come ci ha insegnato Heidegger, possiamo solo essere se siamo essere-nel-tempo (1927). L’essenza dell’essere è perciò temporale ed evanescente. Quindi è questa la natura di ciò che ricerchiamo nella terapia.
Soggetto/Oggetto
La dimensione temporale si applica anche alla nozione del sé. Questo punto è stato descritto estensivamente da Fitz Perls (1951) e dalla tradizione della Gestalt. Considerando il sé come un fenomeno, possiamo dire che esso si esprime solo in relazione all'alterità. Perciò il sé ‘accade’ soltanto durante una relazione. Ma questo sottintende anche che il sé non può esistere senza l’alterità, senza quell’oggetto alieno/straniero che lo fa esistere. In terapia incoraggiamo l’auto-consapevolezza perché è l’unica capacità necessaria per l’auto-validazione del sé. Conoscere il proprio sé significa farlo esistere. In altre parole, il soggetto può compiere entrambe le azioni: può esprimersi e validarsi in quanto testimone (o auto-testimone).
La capacità di essere soggetto e testimone, può anche essere descritta come la capacità di trasformare la soggettività nell’oggetto della ricerca terapeutica. L’individuo (sia il paziente che il terapeuta) dovrà essere in grado di svolgerne entrambe le mansioni: di esserne al tempo stesso soggetto e oggetto. Quest’attività, che potremmo definire di autoesame, è centrale nella terapia e rende il processo sia oneroso che arricchente.
L’autenticità
La presenza nella terapia dev’essere presenza autentica. Possiamo soltanto fare esperienza di ciò che conosciamo e di cui siamo consapevoli. Perciò l’essere realmente presente si riferisce a una qualunque esperienza che può essere più o meno condivisibile con altri. E perciò la presenza stessa è soggettiva. In terapia, questo si riscontra particolarmente quando ci troviamo a maneggiare e gestire i sintomi (come ansia, panico o depressione). Il cliente presenta la sintomatologia; per lo stesso fatto che viene espressa essa esiste. E tante volte è solo l’esistenza di cui si può parlare in maniera congrua. Con questo non voglio dire che il terapeuta non sia di ‘aiuto’ al paziente coi suoi sintomi. Ma vediamo come.
Fenomenologia e cambiamento
Credo che l’esistenzialismo e la fenomenologia non siano in conflitto con i bisogni pratici e di educazione. La differenza tra psicoterapia e insegnamento non è sempre netta, eppure dev’essere rimarcata e spiegata. La presenza terapeutica è di per sé parte dell’apprendimento. Quando il paziente pensa al proprio autosviluppo solo in termini di abilità e conoscenze pratiche, tende a concentrarsi sulla gestione sintomatica. Ed è proprio lì che mi sembra importante discutere la fenomenologia perché l’apprendimento dev’essere un apprendere sulla natura dell’essere. La terapia comincia proprio nel bel mezzo della tensione tra cambiamenti pratici e cambiamenti fenomenologici. Il punto è che l'autenticità della presenza e della relazione con il sé sono già di per sé un cambiamento. La gestione della sintomatologia rimane perciò secondaria all'abilità di essere realmente presenti ai propri sintomi. Un’autentica presenza è il vero cambiamento.
Bibliografia
Buber, M. (1923, trans. 1937) I and Thou. Edinburgh: T&T Clark.
Heidegger, M. (1927, trans. 2008). Being and Time. New York: Harper Perennial.
Perls, F.; Hefferline, R.F.; Goodman, P. (1951) Gestalt Therapy, Excitement and Growth in the Human Personality. London: Souvenir Press.